Tre questioni di linguaggio: paesaggio-natura-oltre

Claudio Cerritelli

Paesaggio e perduta identità

L’arte del secolo scorso ha trasformato profondamente l’idea di paesaggio criticandone il carattere contemplativo e la funzione rappresentativa, attraverso molteplici processi di disgregazione dello spazio prospettico. Il paesaggio non è più contemplabile nella sua forma unitaria, diventa un pretesto per infrangere le certezze e i fondamenti acquisiti operando sulla frammentazione dei piani di racconto. Entrano in gioco nuovi transiti di sguardo, l’attitudine alla veduta d’insieme non offre più garanzie conoscitive, il frammento assurge ad assoluto tramite percettivo e dalla cancellazione del dato reale nasce un inedito montaggio visivo, una sorprendente aggregazione di elementi in libertà.

Le cosiddette avanguardie storiche hanno dato diverse risposte a questo progetto di decostruzione e ricostruzione del tessuto visivo del paesaggio, volgendosi soprattutto alla dimensione dell’urbano e rifiutando la categoria pittorica del naturalismo come cascame del paesaggismo ottocentesco. Dal cubismo al futurismo, dall’espressionismo all’astrattismo l’arte di “far paesaggio” ha riflettuto intorno a una serie di procedimenti percettivi che rifondono l’atto di guardare la realtà, identificandosi nel processo stesso di costituzione del linguaggio. L’immagine della natura è stata per esempio sostituita dalla natura stessa dell’evento creativo, attraverso un processo linguistico autoreferenziale.

Eppure, in un secolo che sulle esequie della visione naturalistica ha inventato nuove forme di paesaggio con relativi artifici spaziali, l’immagine della natura non è mai svanita del tutto, riconfermandosi come riferimento inevitabile, anche per le tendenze artistiche che hanno cancellato il principio di verità ottica del reale.

Si è -in tal senso- parlato di “eclissi del paesaggio”, una dimensione di presunto azzeramento che tuttavia non ha cancellato definitivamente il volto della natura ma ne ha salvato il fantasma come traccia che sopravvive alla dichiarata negazione del genere tradizionale. “Far paesaggio” in senso moderno e contemporaneo significa non rimanere imbrigliati nella cieca adesione alla concezione spaziale del plein air o alla pura fedeltà iconografica e cromatica al modello naturale. Il nuovo significato sta piuttosto nel reagire alle formule tradizionali del paesaggismo con un impulso visivo che nasce al cospetto del luogo evocato, immaginato, sognato a occhi aperti, inventato: dunque, trasformato al limite di sè stesso, sulla soglia dell’oltre. La novità sta nel reagire alle consuete identità del paesaggio: dai valori del naturalismo a quelli del classicismo, dall’oggettività della rappresentazione al soggettivismo lirico del puro colore, dal realismo descrittivo all’incanto del sogno naturale, dai luminosi chiarori della natura agli oscuri presentimenti della sua perduta identità.

Claudio Cerritelli